sabato 27 febbraio 2010

Astronomia e astrologia
La divinazione per mezzo degli astri. L’utilizzazione delle conoscenze astronomiche a scopo divinatorio ebbe la sua origine nella civiltà mesopotamica, ove si trovano le prime testimonianze di osservazione dei corpi celesti e dei loro movimenti, e conobbe una forte diffusione nel contesto del sincretismo ellenistico: al I sec. a.C. risalgono i più antichi testi astrologici del corpus hermeticum, mentre durante l’epoca dell’imperatore Tiberio venne composto il poema Astronomica di Manilio, pervaso di tematiche stoiche. Era stato infatti nel contesto dello stoicismo, soprattutto ad opera di Posidonio, che le dottrine astrologiche erano state connesse a tematiche propriamente filosofiche; ed è in primo luogo a partire dagli elementi rintracciabili in opere di autori latini appartenenti alla tradizione stoica (Seneca, Naturales quaestiones) o che ne avevano riportato le dottrine (Cicerone, De natura deorum, De divinatione, De fato) che gli autori dell’Alto Medioevo ne ebbero notizia. L’opera astrologica più importante dell’antichità, il Tetrabiblos di Claudio Tolomeo (II sec. d.C.), scritta in greco, venne conosciuta solo nel XII sec., quando fu tradotta dall’arabo insieme all’Almagesto dello stesso autore; a Tolomeo si era ispirato Firmico Materno (IV sec. d.C.) nella sua esposizione tecnica dell’astrologia, Matheseos libri VIII.
Scienza duplice. Due erano i termini indicanti i due aspetti della dottrina degli astri, quello descrittivo e quello divinatorio (astronomia e astrologia), distinti con chiarezza ma altrettanto esplicitamente connessi e orientati alla divinazione nel Tetrabiblos . Nella loro spiegazione, che apre il terzo libro delle Etymologiae, Isidoro di Siviglia dovette però tenere conto di un fattore nuovo: la condanna delle diverse forme di divinazione risalenti al paganesimo da parte della Chiesa, per cui egli si trovò a dover distinguere fra un’astrologia naturale e unpastrologia superstiziosa; mentre l’astronomia descrittiva, che faceva parte delle arti liberali, era indiscussa e per tutto il Medioevo formò parte del bagaglio culturale comune. La distinzione isidoriana, che dava notizia della componente divinatoria del sapere sugli astri anche se la valutava negativamente, definendola superstitio (eccesso, frivolezza), rimase centrale per molti secoli. Fino al XII sec. l’astrologia condivise con altre pratiche divinatorie antiche il carattere residuale e la diffusione negli strati sociali più bassi, venendo identificata con gli aspetti più semplici della complessa mathesis (calcolo) con cui si cercava di definire l’influsso degli astri, in particolare della luna, sulla terra e sugli uomini.
Un sapere orientale. Sorte diversa l’astrologia aveva avuto a Bisanzio, dove era sopravvissuta la trattatistica greca e dove, nonostante l’assenza di sviluppi dottrinali, fu sostenuta da personaggi rilevanti, come Manuele Comneno. Ma fu soprattutto nella civiltà islamica che, anche per l’influenza di fonti orientali, la dottrina delle influenze astrali conobbe un consistente sviluppo già a partire dal circolo di al-Kindi. Abu-Ma‘shar (Albumasar per i Latini) scrisse nel III sec. dell’Egira (IX sec. d.C.) un’opera sistematica che venne conosciuta col titolo di Grande Introduzione all’Astronomia ed ebbe nel XII sec. due distinte traduzioni latine (Liber maioris introductorii ad scientiam judiciorum astrorum secondo Giovanni di Siviglia, Introductorium Maius in Astronomiam secondo Ermanno di Carinzia). Fra le altre opere di Abu Ma‘shar, vennero tradotte una introduzione abbreviata (Ysagoge minor) e trattati sui singoli aspetti tecnici dell’astrologia (come il De revolutionibus nativitatum), che nell’opera maggiore erano stati esposti in un contesto filosofico essenzialmente aristotelico. Abu Ma‘shar e la maggior parte degli astronomi arabi mantennero strettamente connessi l’aspetto astronomico o descrittivo e quello astrologico o divinatorio e, come già Tolomeo, considerarono quest’ultimo nella sua relazione con la filosofia, ovvero con la cosmologia aristotelica. La dottrina della dipendenza di tutti i moti dal Primo Motore attribuiva infatti alle sfere celesti un ruolo di mediazione che poté, nell’interpretazione astrologica, essere assunto a fondamento della teoria dell’influenza degli astri sul mondo sublunare; l’accostamento delle dottrine fisiche di Aristotele alle dottrine astronomiche e astrologiche di Tolomeo rese possibile attribuire all’astrologia una base scientifica e integrarla nel sistema scolastico delle scienze.
I giudizi degli astri. Fra XII e XIII secolo si passa dai primi cenni di accettazione dell’astrologia nelle opere di autori come Guglielmo di Conches o Bernardo Silvestre alla discussione estesa e corredata da una ricca documentazione bibliografica dello Speculum Astronomiae [testo]. “Sotto il nome di astronomia sono comprese due grandi sapienze”, afferma l’autore dello Speculum, che una lunga tradizione ha identificato con Alberto Magno e che comunque è sicuramente uno scolastico dotato di ampia cultura scientifica e teologica e di notevole audacia intellettuale. Di esse la prima, astronomia tout-court, designa la parte descrittiva, di cui viene fornita un’ampia serie di riferimenti bibliografici che includono le opere di Tolomeo e i maggiori contributi arabi (al-Battani, al-Bitruji, al-Kwarizmi). “La seconda grande sapienza che è denominata ugualmente astronomia è la scienza dei giudizi degli astri, che costituisce il raccordo fra la filosofia naturale e la metafisica”: dal terzo capitolo alla fine la scientia iudiciorum astrorum viene delineata nella sua tradizione, che comprende i testi della tradizione ermetica, e nelle sue partizioni: la prima parte, introduttiva, concerne i principi; la seconda si divide a sua volta in quattro parti: rivoluzioni (congiunzioni dei pianeti e loro effetti sul mondo), oroscopi (configurazione del cielo alla nascita di un individuo, che permette di definirne le caratteristiche e il destino), interrogazioni (divinazione sulla base degli aspetti reciproci dei corpi celesti), elezioni (scelta, sempre sulla base degli aspetti astrali, del momento favorevole per intraprendere azioni rilevanti, sul piano sia individuale che collettivo).
Determinismo e libertà. Sul piano filosofico, lo Speculum Astronomiae introduce nel mondo latino la grande lezione dell’alchimia islamica; la validazione epistemologica dell’astrologia pone tuttavia un problema fondamentale di ordine filosofico e teologico insieme: come salvaguardare la libertà dell’uomo all’interno di un sistema cosmico ove ogni evento del mondo sublunare è determinato dai movimenti degli astri. Tommaso d’Aquino risolverà il problema asserendo che gli astri hanno influenza solo sul corpo dell’uomo, e possono dunque sì inclinarlo a compiere determinate azioni, ma non costringerlo ad esse. L’autore dello Speculum sceglie invece di rimanere più aderente alle concezioni astrologiche arabe, e attraverso un ragionamento molto articolato distingue in primo luogo fra i vari settori dell’astrologia. Alcuni aspetti di essa, infatti, anziché limitare la libertà umana la perfezionano, dando attraverso il cielo segni che aiutano a compiere scelte sagge, a prevenire difficoltà che si conoscono in anticipo, ad agire in armonia con la natura. Ma nell’ambito delle interrogazioni rimane uno ‘zoccolo duro’ di determinismo, perché nelle interrogazioni sugli eventi futuri si pone una grave questione: se ciò che gli astri prevedono è destinato ad accadere, quali sono i margini di libertà che rimangono all’uomo? Di fronte all’impossibilità di risolvere definitivamente questa difficoltà, l’autore indica una soluzione estremamente audace dal punto di vista teologico, proponendo di leggere le configurazioni astrali come segni del piano provvidenziale di Dio: “forse, se uno la guarda più da vicino, questa problematica è la stessa o almeno di genere simile a quella che riguarda la divina provvidenza; infatti nelle cose che il Signore opera mediante il cielo, il significato del cielo non è altro che la divina provvidenza.” E dunque il problema viene riportato a quello, non certo più facile ma sicuramente più ortodosso, del rapporto fra libertà umana e provvidenza divina.
Una scienza in discussione. Questa soluzione non venne accolta dagli ambienti teologici più conservatori: proposizioni astrologiche vennero incluse nella condanna del 1277 e posizioni polemiche contro i sostenitori dell’astrologia continuarono ad essere elaborate fino alla fine del Medioevo: Nicola Oresme elaborò un’articolata confutazione dell’astrologia nel suo Contra judiciarios astronomos (Contro gli astrologi); contro la fede negli astri si scagliò anche Thomas Bradwardine, e ancora alla fine del Medioevo il dibattito era estremamente acceso. Ciò non impedì tuttavia il fiorire di una tradizione di astrologi colti, da Michele Scoto agli inizi del Duecento, astrologo alla corte di Federico II e autore di un Liber Introductorius, a Cecco d’Ascoli (1269-1327), che espose l’astrologia in italiano ne L’Acerba, e Pietro d’Abano (1257-1315), che ne esaminò gli aspetti più tecnici nell’Elucidator dubitabilium astronomiae e ne analizzò il rapporto con la medicina nel Conciliator. Come gli altri saperi operativi (medicina, alchimia, magia), l’astrologia aveva avuto successo negli ambienti di corte ma, a differenza dell’alchimia e della magia, ottenne (come la medicina anche se ad oltre un secolo di distanza) di essere insegnata nelle università dalla metà del Trecento; e nel 1414 il cardinale Pietro d’Ailly offrì una complessa analisi dei problemi sollevati dall’astrologia nel quadro della teologia scolastica (Vigintiloquium de concordantia astronomicae veritatis cum theologia). Ben diversa nella sua impostazione di fondo, ma in molti tratti debitrice di questi dibattiti, sarebbe stata, ormai in età umanistica, la discussione di Giovanni Pico della Mirandola nelle sue Disputationes adversus astrologiam divinatricem (1484). (MP)

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